Un anno fa. Il mio secondo parto.

Sono le 3.48 di mattina della notte del 3 marzo, sono a letto e non ho sonno. Ripercorro come ogni sera alla vigilia del compleanno dei miei figli, tutto ciò che ho vissuto in quel preciso momento l’anno precedente. Quell’emozione mista a paura, la ricordo come la sensazione più bella di sempre e pagherei oro per poter rivivere quelle giornate, costasse ancora dolore e paura.

Con Alessandro finivo i conti l’ 8 di marzo, dunque il sabato precedente ero a casa con Francesco. Eravamo soli, mentre il papà era a lavoro. Eravamo sul lettone e cercavo di farlo addormentare per poi crollare finalmente anche io, stanca morta. E invece, all’1 e 15  sento un botto, lì dentro, come quando la notte di capodanno stappi una bottiglia di champagne. Non capisco. Passa qualche secondo e sento le acque che scorrono. Ok, mi è tutto chiaro. Essendo sola con Francesco, mantengo la calma, per me era una primissima esperienza avendo avuto con Francesco un parto cesareo programmato. Non immaginavo nulla di ciò che mi stesse per accadere. Mantengo la calma, sorrido a lui, afferro il telefono e chiamo mio marito “lello ho rotto le acque, vieni a casa” gli dico con una voce pacata e serena. Così tanto pacata che lui pensa ad uno scherzo. Perdo la pazienza, sono più convincente, e si convince! 🙂 vado in bagno, mi cambio, Francesco viene con me e mi chiede cosa stesse succedendo. Io piango, osservo il suo viso ingenuo e piango, cavolo quanto ho pianto quella notte. Non riuscivo a trattenermi, lo osservavo e avevo in me la certezza che quella notte sarebbe cambiata tutta la sua vita e che lui, piccolo e indifeso, dovesse subire inevitabilmente un bel po’ di cambiamenti. Per fortuna mio marito arriva presto, non distava poi tanto, era a lavoro al bar dei miei genitori, dunque arriva in pochissimo tempo insieme a mia mamma. Lasciamo Francesco in lacrime a casa dei miei suoceri e corriamo verso l’ospedale. Non faccio altro che pensare a Francesco, non sono serena, non avrei mai voluto lasciarlo.

La mia più grande paura in fondo è sempre stata quella di dover correre in ospedale di notte, temevo che Francesco risentisse di questa cosa, e la mia paura si è avverata. Temevo anche di partorire il fine settimana, quando il mio ginecologo sapevo non ci fosse stato, ed anche questa paura si è avverata! D

Arrivo in ospedale e chiedo di restare con mia mamma, mio marito sarebbe andato a prendere Francesco dai miei suoceri e insieme sarebbero rientrati a casa. Solo in questo modo sarei stata più serena.

(Mi racconterà poi mio marito, giorni e giorni dopo, che quella notte Francesco con il mio pigiama in mano tra le lacrime chiedeva a suo padre dove io fossi e non si dava pace).

Il travaglio è avviato, le contrazioni sono ravvicinate ma non regolari. Mi visitano e sono dilatata di 1 cm, in quel momento si rendono conto che ho le acque tinte. Verdi di un verde bruttissimo, e già quelle non mi fanno ben sperare. Il dottore di turno mi rassicura, le acque verdi ci allarmano ma non ci precludiamo la possibilità di un parto spontaneo.   

(In caso di liquido amniotico tinto potrebbe essere indice di sofferenza fetale. Significa che l’intestino del neonato ha espulso una quantità significativa di meconio, ovvero le sue feci. In realtà, però il liquido tinto non è sempre sinonimo di problemi a carico del bebè, ma è meglio non rischiare e sottoporsi il prima possibile agli accertamenti).

Mi dicono che per questo dovrò affrontare gran parte del travaglio attaccata alla macchina del tracciato per monitorare la sofferenza del bambino. Passa tutta la notte, le contrazioni sempre più vicine e sempre più dolorose. La posizione da stesa non mi aiuta, quelle poche volte in cui sono riuscita a farmi staccare il monitoraggio per qualche minuto mi rendo conto che riesco a gestirle molto meglio in diverse posizioni, ma purtroppo per il bene del mio bambino non posso fare diversamente. Faccio di tanto in tanto delle visite, passano le ostetriche a visitarmi, e la situazione non cambia, il bambino non è in sofferenza ma l’utero è dilatato di un solo cm. Ero stanchissima, non riuscivo a riposare, ero demoralizzata ma tanto tenace. Mi sentivo fortissima. Speravo nel mio vbac (parto vaginale post cesareo), ci avevo creduto tantissimo. Sarebbe stata la mia rivincita per quel parto cesareo precedente che non avevo mai accettato. Ci spero con tutta me stessa, stringo i denti, fino a quando mi visita un nuovo dottore arrivato con il cambio turno. Mi dice che dovremmo intervenire con un taglio cesareo perché il bambino ha la testa ballottabile. Non so cosa significhi, non ho mai sentito prima quel termine.

Rientro in camera e invio un messaggio al mio ginecologo . Tempo dieci minuti mi telefona. Mi spiega che il collega gli ha già spiegato la mia situazione, dice che il bambino ha la testa ballottabile e questo non ci fa sperare (quando un bambino ha la testa ballottabile significa che questa è incanalata, tanto che il medico con la visita riesce a sentirla, ma non è ben incanalata da essere incastrata e dunque quando con la visita toccano il bambino, questo riesce ancora a muoversi e tornare indietro. Spero di aver capito e di essermi spiegata bene). Mi spiega che non è una condizione pericolosa per noi, semplicemente non ho tante possibilità di apertura dell’utero. Probabilmente non si aprirà mai mi spiega e questa condizione associata a delle acque tinte non ci permette di aspettare molto di più.

D’accordo con lui, chiedo la possibilità di aspettare ancora un po’ per l’intervento. Avendo rotto le acque all’1 di notte gli chiedo di aspettare almeno 12 ore, fino alle 13, sperando che qualcosa possa cambiare. Ci credo ancora, con tutta me stessa, ma avevo davvero poche possibilità. In effetti non ci sarà nessun miglioramento.

Alle 13.30 nasce Alessandro con taglio cesareo.

Bello come il sole, una pagnottella di 3760 gr, identico al suo fratellino. Me lo poggiano accanto al viso e in quel momento dimentico tutto il mondo fuori.

Mi sono innamorata per la seconda volta. Sono mamma per la seconda volta. ❤️